top of page

La Philosophy for Children per favorire la didattica dell’Inglese Sistemico

Immagine del redattore: Sabina MagagnoliSabina Magagnoli

Aggiornamento: 7 set 2020


Nella mia funzione di insegnante in una scuola superiore professionale, sto osservando che le materie studiate sono sempre più circoscritte all’area di lavoro scelta, e i percorsi didattici sono finalizzati a risultati oggettivi misurabili in termini di competenze spendibili sul futuro posto di lavoro. Ma che ne è della capacità emotiva, morale, etica e di pensiero critico dei ragazzi? Come fare per insegnare anche a ragionare in maniera logica ed empatica, a partecipare consapevolmente alla democrazia, a essere capaci di riflettere su di sé, e, soprattutto, come possiamo noi insegnanti contribuire alla creazione di strumenti per affrontare le difficoltà esistenziali, come quella più recente della pandemia globale?


A questo bisogno educativo primario risponde la Philosophy for Children di Silvia Demozzi, Luca Zanetti e Sebastiano Moruzzi, un progetto educativo ispirato a Matthew Lipman, che insieme ad Ann Sharp ha fornito un modello di apprendimento delle Life Skills co-costruito grazie alla cooperazione e all’interazione tra pari. Si tratta di un metodo didattico che trovo straordinariamente efficace, soprattutto nelle classi con più difficoltà emotivo-relazionali e di apprendimento. In questo tipo di approccio, l’insegnante rinuncia alla sua tradizionale direttività per favorire la circolarità della conoscenza, riconoscendo agli studenti il diritto ad un pensiero autonomo. La stimolazione del pensiero autonomo è un aspetto fondamentale, che permette di superare l’asimmentria epistemica secondo la quale l’adulto è depositario del sapere e offre all’adolescente un contesto educativo che lo valorizza e lo legittimizza. La classe diventa quindi una comunità di ricerca esistenziale autogestita con l'aiuto dell’educatore, ora libero dal tradizionale ruolo di autorità, che assume il ruolo di responsabile della co-gestione in termini organizzativi e interagisce col gruppo con rigore pedagogico, creando uno spazio-tempo all’interno del quale tutti trovano un luogo di ascolto e condivisione. In questa comunità il gruppo è vissuto come una batesoniana ‘Mente collettiva’, cioè un sistema pensante interconnesso e consapevole della propria interdipedenza, che procede in direzione della conoscenza partendo dalla dignità di ciascun membro di essere ascoltato e di poter esprimersi. Nella pratica didattica le sessioni generalmente hanno la durata di un’ora all’inizio della quale l’insegnante offre uno stimolo per il dialogo, in forma di un materiale che favorisca l’immedesimazione dei ragazzi e rappresenti un’esperienza problematica (i primi 10 minuti), e successivamente ascolta e modera il feedback dei ragazzi, che esprimeranno dubbi e si confronteranno con domande, invitandoli a scegliere una delle domande suscitate dallo stimolo (10 minuti). I successivi trenta minuti vengono dedicati al dialogo, per dare una risposta alla domanda scelta, anche se in questa sezione deliberativa l’obiettivo non è arrivare a una sola risposta, ma lavorare sulla ricerca di un accordo. In questo processo il sapere insito nei ragazzi emerge grazie all’indagine collettiva, durante la quale il docente avrà cura delle dinamiche relazionali e di gruppo all’interno della comunità. Prima della conclusione della sessione è fondamentale dedicare 10 minuti all’autovalutazione, per favorire l’autoconsapevolezza dei propri processi e delle dinamiche del gruppo.

Ho messo in pratica le strategie didattiche della Philosophy for Children (integrate con tecniche specifiche per l’insegnamento linguistico a studenti con DSA e BES) con la classe 1Dac dell’Istituto Professionale Agrario e Alberghiero Lazzaro Spallanzani di Castelfranco Emilia nei mesi di gennaio e febbraio 2020. In questo istituto superiore ho avuto modo, nel corso degli anni, di sviluppare una metodologia di didattica dell’inglese ‘sistemica’, corentemente con il concetto batesoniano di interconnessione, grazie anche ad un contesto caratterizzato da serre scolastiche e spazi aperti in cui potevamo svolgere laboratori di mindfulness più vicini alla natura rispetto a una tradizionale scuola urbana. La classe 1Dac, già abituata ad una metodologia student-centred, ha trovato naturale confrontarsi spontaneamente su materiali proposti come stimolo. Nel caso di un testo sull’emergenza climatica e sulle difficoltà per il futuro dell’umanità per esempio, la domanda scelta dagli studenti a seguito della lettura è stata “What keeps me alive?”. Per favorire la fase di negoziazione dei significati, l’acquisizione del vocabolario e agevolare la partecipazione dei ragazzi con Dsa avevo preparato dei cartoncini su cui avevo scritto parole chiave che potevano essere utilizzate e mostrate per aiutarsi ad esprimersi in inglese. Durante questa fase gli studenti si sono sostenuti reciprocamente nello sforzo di creare frasi complete e grammaticalmente coerenti commentando e scambiandosi la parola chiave che ritenevano più importante. Il percorso è continuato con la scelta condivisa di un’unica parola chiave ‘Oxygen’ seguito da un’attività di biofilia per stimolare la consapevolezza sistemica dei ragazzi, ispirata alle attività della sezione ‘operativa’ di Philosophy for Children dell’Università di Bologna, Filò, la cui responsabile è Sara Gomel. Grazie alla disponibilità dei vivaisti dell’istituto i ragazzi hanno scelto e portato in classe alcune piante dalla serra scolastica, stabilendo con loro un rapporto sistemico di mutuo aiuto e accudendole quotidianamente fino al 22 febbraio 2020.

L’esperienza del lockdown ci ha colpiti all’improvviso e ha interrotto il processo di consapevolizzazione sistemica che a quel punto si stava consolidando. L’isolamento ci ha portati a riflettere insieme su come procedere, e questo è stato un grande stimolo per il dialogo, un’autentica esperienza problematica, condivisa nella classe virtuale su Gmeet. Avevamo bisogno di una nuova credenza condivisa, per sentire di essere ancora una comunità. I ragazzi avevano la necessità di sapere che ero ancora lì per loro, e con alcuni di essi chattavamo su whatsapp ogni giorno e ci sentivamo per telefono oltre che sul gruppo whatsapp di classe. Allora abbiamo deciso di fare un video della nostra esperienza, che non parlasse del lockdown, ma di cosa facevamo a scuola. Questo video, intitolato ‘Systemic English’, raccoglie i momenti più significativi del percorso didattico che avevamo iniziato, raccontati dall’isolamento delle case di ognuno. Nel video girato insieme, i ragazzi raccontano e rivedono le immagini delle loro emozioni e ne conservano la memoria. Lo ritengo materiale prezioso, perché le emozioni e le negoziazioni scaturite dalle esperienze esistenziali dei ragazzi sono materiale fondamentale per noi insegnanti. Ed è importante sperimentare continuamente metodologie che ci permettano di gestire questa grande risorsa in maniera da aiutare gli studenti a prendere consapevolezza di sé e ad imparare a condividere le proprie opinioni in un sistema coerente ed eticamente solido. La Philosophy for Children offre anche questo, e ringrazio i suoi divulgatori per avermi insegnato a mettere in pratica il loro paradigma educativo per una necessaria, citando Morin, ‘riforma di pensiero’.


Nella foto da destra: Sara Gomel, la scrivente Sabina Magagnoli, Silvia Demozzi e le collaboratrici del progetto Philosophy for Children Alessia Marchetti e Elena Tassoni. Foto di Elisa Subini.

 
 
 

コメント


©2019 by SlowEnglish. Proudly created with Wix.com

bottom of page